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Una valigia è la mia casa

Casa, casa del cuore, casa dell’anima, casa di famiglia, la mia casa, mi casa es tu casa, tornare a casa, sentirsi a casa, case costruite, case amate, case strappate, case abbandonate, case vissute.  Case che crollano, tante. E case che si perdono. Alcune.

 

Era bellissima e fiera, quasi altera nel suo guardarsi intorno, dritta sulla schiena e un poco impettita, straniante visione che colgo da lontano, camminando.

La vedo, la guardo e a me sembra una Regina.

Indossa un abito chiaro, lungo quasi fino ai piedi e tutto di pizzo decorato con forme di fiori. Ma le scarpe, le sue scarpe… Aveva un trolley che teneva stretto al fianco e continuava a guardarsi intorno, sembrava aspettare qualcuno. O forse qualcosa.

“Chiedo scusa, signora cara”, mi dice con tono elegante e gentile. Io mi avvicino curiosa e acconsento al suo invito. Mi domanda se per caso avessi qualche soldino. Ho cercato nella borsa il portafoglio. Doveva prendere un taxi, mi ha detto, per andare alla stazione.

“Un tempo”, mi dice, “era questa la mia casa” e mi indica una finestra che si apre su una delle strade più belle e prestigiose di Roma. Mi parla di un tempo lontano e felice, soprattutto felice, e di giovinezza e d’amore. Di anni ne ha forse sessanta o settanta.

Ora di tutto quello non è rimasto niente, perduto per sempre il suo amore, strappata la casa, perduti i sorrisi, gli “amici”, gli averi e i gioielli. “E’ stato un attimo”, mi dice. Adesso vivo in tutt’altra zona, ma torno spesso qui a casa”. Ha chiuso a lungo le palpebre con disappunto, muovendo il capo in senso di diniego. “E’ un attimo”, mi ha detto. “Tutta la vita può cambiare in un attimo”. Ho avuto l’impulso di chiederle se avesse bisogno di qualcos’altro. “E di cosa, mia cara?” mi ha detto guardandomi strano. Mi ha guardato con lo sguardo un po’ spento. La matita dall’occhio sinistro era un poco colata e mi ha appoggiato la mano sul braccio stringendolo appena. Ha unghie laccate di rosso ma lo smalto è scrostato e il vestito “elegante” di pizzo, ora lo vedo, è un po’ ombrato e consunto. “Questi taxi sono sempre in ritardo”, ha detto, senza più guardarmi, e con scatto deciso ha strattonato il suo trolley incastrato in un sanpietrino rotto. Si è allontanata decisa, per poi perdersi magnifica tra la gente, tirandosi dietro un bagaglio pesante. E ho pensato che dentro quella valigia ora c’è tutta la sua casa.

Arrivata alla stazione forse l’avrebbe aperta quella valigia, e come per magia, o semplicemente come quelle banali tende da campeggio che si aprono a ombrello, si sarebbe trasformata in una sorta di casa. La sua casa.

 

Poi ho sentito freddo e ho avuto voglia di tornare a casa.

Entro in casa, mi sento a casa, casa amata, casa del cuore, casa dell’anima, casa desiderata, casa sudata, casa vissuta. La mia casa, per ora, e dunque ancora più amata.

Sono le otto e accendo la televisione: ancora case, case di famiglia, case costruite, case amate, case abbandonate, case distrutte, case strappate. Case che crollano: Tante. Case strappate: Una, Case che si perdono: Nessuna.

 

Gina Ingrassia

 

opere di Bruno Catalano, I viaggiatori