Saul Leiter

Gocce di pioggia, vetri appannati, fessure, inferriate, grate attraverso cui guardare il mondo e coglierne la bellezza ma anche la leggerezza e l’ironia attraverso dettagli, forme e colori. Non è uno sguardo immediato quello di Saul Leiter, fotografo americano, il cui lavoro è esposto nel Belvedere della Reggia di Monza. Non si può camminare tra i suoi scatti con lo sguardo distratto: servono lentezza, pause, attenzione e forse il suono dell’acqua che scorre dietro un vetro in una giornata di pioggia, come quello che ci accoglie all’entrata della mostra.

 

Le superfici che filtrano la visione – vetri satinati, trame leggere, trasparenze sovrapposte – fanno eco al suo modo di vedere il mondo. Il percorso della mostra, scandito ogni tanto da gigantografie retroilluminate che scaldano lo sguardo, diventa quasi un invito alla sospensione, a perdersi tra scorci inaspettati, prospettive interrotte, luce che si insinua tra le aperture.

 

Come nei suoi scatti, anche nello spazio espositivo tutto è percezione sfumata, che consapevolmente trae forza dalle strutture stesse presenti, sapientemente coinvolte nell’allestimento. Ecco che la grata di una delle finestre della Villa sembra sposarsi perfettamente con il disegno di una grata che affaccia su un parco e che diventa lente di ingrandimento e messa a fuoco su dettagli di persone intente a godersi il tempo libero; un visitatore può farci caso o meno, interrogarsi sulla coincidenza o non soffermarsi, ma non è importante perché è il senso di armonia nell’ atmosfera che si respira, a rimanere impresso.

 

Accanto agli scatti sono esposti alcuni dei suoi lavori pittorici, in una contaminazione che procede in parallelo: sembra di capire di più alcune sue foto che richiamano macchie di colore radiose e si intuisce un lavoro di intreccio, in cui alle volte un pennello, alle volte un obiettivo sono parte dello stesso processo. C’ è una raffinatezza visiva che Saul Leiter coglie nel quotidiano che a noi che guardiamo con occhi abitudinari, sarebbe di certo sfuggita. Leiter trasforma il casuale in qualcosa di lirico, il quotidiano in uno stupore silenzioso i cui rumori ci giungono attutiti, come quando fuori scende la neve.  I colori tenui, le geometrie imperfette, le sfocature volute non raccontano il momento, ma lo incorniciano, regalando qualcosa di eterno persino ad un cappello o alla curva di una schiena.

 

In alcune inquadrature quello che a noi sarebbe parso un elemento di disturbo diventa elemento fondamentale, un sipario per dare ancora più senso al soggetto ritratto. Così l’antenna radio di un’auto fa acuire la vista per mettere a fuoco meglio il bambino seduto che si nasconde dietro di essa in lontananza. Le immagini mescolate che si riflettono in una vetrina incrociando piani diversi, invitano a guardare più e più volte per cercare di sciogliere la trama nascosta. È tutto un esercizio di attenzione, che un visitatore può compiere o non compiere (perdendosi però qualcosa)

Una stanza a sé nel percorso espositivo, in cui si entra un po’ in punta di piedi perché è quasi un diario intimo, è quella dedicata alle donne che ha ritratto, quasi sempre seminude in momenti di pace e di abbandono, molto privati. Sono fotografie delicate, mai sfacciate, a volte malinconiche, spesso misteriose ed è bello che abbiano un loro posto speciale all’interno dell’allestimento dello spazio.

È uno sguardo romantico, quello di Saul Leiter, non realista. Come racconta lui stesso: “Guardo le cose più insignificanti e vi trovo la bellezza”.

 

Simona Cantoni